Eredità contestate

Diritto di famiglia

IMPUGNAZIONE DEL TESTAMENTO, CHIAMATI IN SUBORDINE E AZIONE DI RIDUZIONE

Quando si può impugnare il testamento?

In caso di eredità contestate l’impugnazione del testamento è una modalità attraverso la quale alcuni soggetti possono contestare le disposizioni testamentarie del defunto, nel momento in cui presentino determinati vizi previsti dalla legge.

Impugnazione per incapacità del testatore

 

Secondo quanto previsto dall’art. 591 c.c. si ritiene incapace di redigere testamento:

  • chi non è maggiorenne;
  • colui che è stato dichiarato interdetto per infermità mentale;
  • colui che, sebbene non interdetto, si provi essere stato, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere nel momento in cui ha fatto testamento.

In questi casi, chiunque vi abbia interesse può decidere di impugnare il testamento redatto per contestarne il contenuto e ottenerne l’annullamento. La legge, però, pone a carico di colui che impugna il testamento l’onere di dar prova della mancanza di capacità di intendere e volere del defunto, relativamente al momento in cui ha redatto il testamento.

Ottenere l’annullamento del testamento

La giurisprudenza della Corte di Cassazione interpreta in modo restrittivo il concetto di mancanza della capacità di intendere e di volere. Vale a dire che per ottenere l’annullamento del testamento non è sufficiente dar prova di una semplice alterazione delle facoltà psichiche o mentali del testatore. In primo luogo è necessario dimostrare che il soggetto sia stato privato totalmente della coscienza e della consapevolezza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi nel momento in cui ha reso il proprio testamento.

L’azione per annullare il testamento dev’essere esercitata entro il termine di prescrizione di cinque anni che decorre dal giorno in cui sono state attuate le disposizioni testamentarie.

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    Impugnazione per violenza, dolo o errore

    Le disposizioni contenute nel testamento non sempre risultano essere il frutto della volontà del testatore. In altre parole è possibile che siano state influenzate da un errore, dalla violenza altrui o da altri mezzi fraudolenti.

    Di conseguenza l’art. 624 c.c. prevede che chiunque vi abbia interesse può impugnare il testamento se il suo contenuto è stato viziato da errore, violenza o dolo.

    Casi

    • L’errore sussiste nel momento in cui il testatore abbia redatto le sue ultime volontà sulla base di una falsa rappresentazione della realtà.
    • Il dolo, anche definito captazione, consiste in comportamenti comprendenti anche l’impiego di mezzi fraudolenti. Inoltre è tenuto conto dell’età del testatore, del suo stato di salute e delle sue condizioni psichiche, che abbiano influenzato in maniera determinante la sua volontà.
    • La violenza è intesa sia in senso fisico che psicologico, la quale, perpetrata nei confronti del de cuius, può influire negativamente sulla sua libertà decisionale.

    In queste ipotesi, l’azione di impugnazione per ottenere l’annullamento del testamento viziato dev’essere esperita entro il termine di prescrizione di cinque anni. Decorrente dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell’errore.

    Chiamati in subordine

    I soggetti chiamati in subordine sono tutti coloro che possono subentrare nella successione ereditaria nel momento in cui il soggetto o i soggetti chiamati all’eredità non vogliano o non possano accettare.

    La chiamata in subordine nella successione testamentaria si articola, gradualmente, nei seguenti istituti:

    Sostituzione

    Opera quando il testatore abbia espressamente indicato nel testamento un sostituto per l’ipotesi in cui il primo chiamato o legatario non voglia o non possa accettare l’eredità.

    La sostituzione può essere anche plurima. Vale a dire quando il testatore ha individuato più persone come sostituti di un erede o quando il testatore ha indicato un unico sostituto per più eredi. In quest’ultimo caso il testatore subentra nella successione testamentaria nel momento in cui essi decidano di rinunciare alla propria quota ereditaria.

    La sostituzione è invece reciproca quando gli eredi nominati sono stati anche individuati come sostituti degli altri coeredi nel caso in cui qualcuno di loro non voglia o non possa accettare l’eredità.

    Rappresentazione

    Si verifica nel momento in cui il testatore non abbia provveduto a nominare un sostituto per il chiamato all’eredità o per il legatario che non voglia o non possa accettare.

    In tale ipotesi, i discendenti (legittimi e naturali) del rinunciante subentreranno, appunto per rappresentazione, nella successione testamentaria, al posto del loro ascendente.

    La rappresentazione, però, può essere esclusa dal testatore con un’espressa dichiarazione contenuta nel testamento.

    Accrescimento

    Quando la sostituzione non sia stata prevista e non ricorrano i presupposti della rappresentazione, allora si verifica l’accrescimento.

    Questo istituto comporta che, nell’ipotesi in cui vi siano più coeredi, se uno di essi non possa o non voglia accettare la propria quota di eredità, allora la sua parte si accresce agli altri. Vale a dire che la propria quota viene ripartita tra gli altri coeredi che abbiano già accettato la propria quota ereditaria. Se più eredi sono stati istituiti in una stessa quota, l’accrescimento si verifica in favore di coloro che sono stati istituiti nella medesima quota.

    L’accrescimento opera, secondo le stesse modalità, anche tra più legatari ai quali sia stato legato il medesimo bene.

    Tale istituto, inoltre, opera automaticamente e di diritto in favore di coloro che abbiano già accettato l’eredità o il legato. Pertanto i coeredi, una volta accettata la quota a loro destinata, non potranno rinunziare alla quota loro attribuita per accrescimento.

    I coeredi e i legatari, nei confronti dei quali si verifica l’accrescimento, subentrano anche negli obblighi del rinunciante, salvo nell’ipotesi in cui abbiano carattere personale perché, in tal caso, non si trasferiscono.

    Accrescimento successione legittima

    Nella successione legittima, nel caso in cui un soggetto non voglia o non possa accettare l’eredità, gli altri chiamati possono subentrare per accrescimento o per rappresentazione.

    Nel caso in cui vi siano più coeredi o collegatari, se uno di loro rinuncia alla propria quota, quest’ultima si accresce agli altri. Se, invece, il soggetto che rinuncia all’eredità è l’unico chiamato, allora si considera come se non esistesse, come se non fosse mai stato chiamato.

    Sul meccanismo dell’accrescimento, però, prevale quello della rappresentazione, in forza del quale al de cuius succedono, i discendenti (legittimi e naturali) di colui che ha rinunciato all’eredità.

    Azione di riduzione

    La quota di legittima è quella parte del patrimonio ereditario che dev’essere riservata, per legge, agli eredi legittimari. Ossia i familiari più stretti del de cuius (coniuge, figli e, in assenza di questi ultimi, i genitori del defunto).

    Nel momento in cui viene lesa la quota di legittima, i legittimari possono ricorrere all’azione di riduzione. L’azione avviene sia nel caso di successione testamentaria, sia nel caso di successione legittima.

    In questa seconda ipotesi, in realtà, non viene esercitata una vera e propria azione di riduzione, poiché, ai sensi dell’art. 553 c.c., se sono stati lesi i diritti di legittima le quote di eredità si espandono automaticamente, per permettere agli eredi legittimari di conseguire quanto gli spetta ex lege.

    Legittimari nella successione testamentaria

    Nell’ambito della successione testamentaria, invece, i legittimari lesi possono agire in giudizio, esperendo l’azione di riduzione proprio contro le disposizioni testamentarie che siano lesive del loro diritto di legittima.

    L’effetto di tale azione è quello di rendere in tutto o in parte inefficaci, nei confronti dei legittimari stessi, le disposizioni testamentarie lesive, senza distinzione fra eredità e legato.

    L’azione di riduzione, avente ad oggetto le disposizioni testamentarie lesive, non consente ai legittimari di ottenere ciascuno la propria quota. In alternativa essi potranno agire in riduzione contro le donazioni effettuate in vita dal de cuius.

    Presupposti

    I presupposti perché l’erede legittimario possa esperire l’azione di riduzione sono:

    • allegare e provare con precisione l’entità della legittima e la misura della sua lesione;
    • accettare l’eredità con beneficio d’inventario nel caso in cui voglia agire per ridurre i legati o le donazioni fatte in favore di soggetti che non siano, nel contempo, chiamati all’eredità;
    • tener conto di eventuali donazioni o legati ricevuti in vita dal defunto, imputandoli alla quota di legittima. Poichè si presume che siano stati eseguiti per soddisfare il diritto di legittima, a meno che il de cuius abbia espressamente dispensato tali donazioni e legati dall’imputazione.

    Riduzione dell’asse ereditario e delle donazioni

    La riduzione dell’asse ereditario e delle donazioni deve avvenire secondo un certo ordine, ossia seguendo:

    • il criterio proporzionale. Prevede la riduzione delle attribuzioni ereditarie in misura proporzionale, senza distinguere tra eredità e legati. Al contempo, senza pregiudicare la porzione di legittima spettante agli altri eredi legittimari;
    • il criterio cronologico. Riguarda la riduzione delle donazioni fatte dal de cuius. Dopo l’esaurimento dell’asse ereditario, secondo il quale si deve partire dall’ultima donazione effettuata, per poi eventualmente risalire a quelle anteriori.

    Il diritto di agire in riduzione si prescrive nel termine di dieci anni che decorre secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza. La validità inizia dalla data dell’accettazione delle disposizioni testamentarie che ledono la legittima da parte dei loro beneficiari.

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