Patti di famiglia

Diritto di famiglia

Patti di famiglia

Che cosa sono?

I patti di famiglia sono contratti con cui il titolare di un’impresa o di una partecipazione societaria può trasferire la propria azienda o le proprie quote sociali ad uno o più suoi discendenti.

Sono disciplinati dalle norme del Codice civile e dalla Legge n. 55/2006.

Che tipo di contratti sono? Perché vengono stipulati? Quali beni hanno ad oggetto? Quali soggetti coinvolgono? Perché hanno natura eccezionale? Si possono impugnare?

Vantaggi

Secondo l’articolo 768-bis del codice civile, il patto di famiglia è “un contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.

Perché vengono stipulati i patti di famiglia? Principalmente per tre motivi.

  • Per evitare che l’azienda o le quote societarie confluiscano in futuro nell’asse ereditario, insieme a tutti gli altri beni del titolare che verranno suddivisi tra i suoi eredi dopo la sua morte, in seguito all’apertura della successione ereditaria.
  • Per affidare la gestione e la prosecuzione dell’attività d’impresa ad un soggetto che sia in grado di provvedervi adeguatamente.
  • Per evitare eventuali liti nel caso in cui, alla morte del titolare, l’azienda o le partecipazioni sociali debbano essere suddivise tra gli eredi.

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    Beni & oggetti del patto di famiglia

    I patti di famiglia possono avere ad oggetto il trasferimento di intere aziende o di partecipazioni sociali.

    Il trasferimento d’azienda può anche essere parziale quando coinvolge solamente un ramo d’azienda. In questo caso la cessione deve essere fatta in modo tale che il beneficiario possa portare avanti l’attività d’impresa nel modo migliore.

    Con il patto di famiglia sia possono trasferire sia beni materiali sia beni immateriali (ad esempio, un marchio o un brevetto).

    Soggetti coinvolti

    I patti di famiglia sono contratti a titolo gratuito che richiedono, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico, e plurilaterali perché coinvolgono più soggetti: devono essere coinvolti tutti i soggetti interessati, sia chi riceverà l’azienda sia chi ne avrebbe diritto ma non vi abbia interesse o sia ritenuto non adatto.

    Infatti, l’articolo 768-quater, comma 1 del codice civile stabilisce che alla stipulazione del contratto devono partecipare il disponente (titolare dell’azienda o delle partecipazioni sociali), gli assegnatari (discendenti) e tutti coloro che, in qualità di legittimari (coniuge, figli e, in loro mancanza, ascendenti del titolare), sarebbero coinvolti nella successione ereditaria, se venisse aperta proprio in quel momento.

    Il proprietario d’azienda, ad esempio il padre, può decidere a chi lasciare la stessa, ma il contratto deve prevedere che gli altri eredi percepiscano un pari controvalore.

    Qualora il patrimonio non fosse sufficiente o fosse rappresentato dalla sola azienda assegnata ad un erede, nel contratto si dovrà prevedere che questi dovrà necessariamente liquidare gli altri eredi che ne hanno diritto (i legittimari).
    Eventualmente, gli assegnatari possono anche accordarsi con i legittimari e decidere di corrispondere la quota dovuta in natura, cioè trasferendo loro beni o diritti.
    I legittimari possono anche rinunciare ad ottenere la quota di legittima.

    I patti di famiglia sono eccezioni

    Per espressa previsione di legge, i patti di famiglia rappresentano una deroga al divieto dei patti successori previsto all’art. 458 del codice civile il quale afferma che: “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.

    I patti di famiglia, inoltre costituiscono una deroga anche all’articolo 533 del codice civile, che afferma: ‘‘Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati’’.

    In materia di successioni legittime, l’art. 737 del codice civile disciplina l’istituto della collazione, secondo cui ‘‘I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati’’.
    Se un erede legittimario ha ricevuto dal defunto una donazione, quando ancora quest’ultimo era in vita, essa viene considerata un’anticipazione relativa alla quota di eredità che spetterebbe all’erede legittimario in questione. Egli, dunque, dopo l’apertura della successione riceverà meno rispetto agli altri eredi legittimari oppure dovrà restituire quanto ricevuto a titolo di donazione, salvo che non sia stato espressamente dispensato a fare ciò dal defunto.

    Se, invece, è stato sottoscritto un patto di famiglia, l’erede assegnatario e legittimario, oltre ad aver ricevuto quanto previsto dal patto di famiglia, riceverà regolarmente anche la propria quota ereditaria, definita quota di legittima.
    Gli altri legittimari non potranno agire in giudizio per ottenere la reintegrazione della loro quota di legittima perché avendo prestato il loro consenso al momento della stipulazione del patto di famiglia hanno accettato il trasferimento oggetto dello stesso in favore di quell’erede legittimario.

    Impugnazione

    Se il patto di famiglia è fondato su un vizio del consenso prestato da una delle parti, dovuto a violenza, errore o dolo, allora le parti possono impugnare il contratto stesso. Il termine entro cui può essere proposta impugnazione è un anno e decorre da quando è cessata la violenza che ha indotto una delle parti a manifestare il proprio consenso, oppure da quando è stato scoperto l’errore o il dolo.

    • l’assegnazione della casa coniugale al coniuge con il quale i figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti abiteranno (c.d. collocazione abitativa);
    • la determinazione di un importo mensile (c.d. assegno di mantenimento) in favore dei figli ed erogato al genitore con il quale gli stessi abiteranno, che verrà utilizzato per far fronte alle spese ordinarie dei figli e che verrà determinato in proporzione ai redditi dei genitori;
    • la suddivisione delle spese straordinarie nella misura del 50% a carico di ciascun coniuge (o nella diversa misura, tenendo conto di una eventuale differenza importante tra i redditi dei due);
    • l’affidamento dei bambini, di regola e salvo situazioni particolari, è condiviso e, da un lato, deve garantire ai figli una crescita equilibrata con entrambi i genitori e, dall’altro, assicurare ad entrambi i genitori di poter svolgere il loro ruolo educativo e affettivo;
    • la regolamentazione del diritto di visita tra i figli ed il genitore con il quale non stanno abitualmente.

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