Affido condiviso: buone leggi, cattivi tribunali
A quasi vent’anni dalla riforma del 2006 sull’affido condiviso, il dibattito sulla parità dei genitori resta sorprendentemente attuale. Sebbene la legge italiana sia chiara nel promuovere l’uguaglianza dei genitori, la realtà nei tribunali spesso racconta una storia diversa. La normativa stabilisce che entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e doveri nei confronti dei figli, sancendo il principio del “rapporto equilibrato” con ciascun genitore, salvo casi eccezionali che compromettano il benessere del minore. Tuttavia, l’applicazione pratica di questa legge incontra ostacoli, con una tendenza a favorire un modello di affido quasi monogenitoriale, in contrasto con lo spirito della normativa.
La legge è chiara, ma i tribunali respingono la parità
La riforma del 2006 ha segnato un cambio di paradigma, abbandonando il vecchio modello in cui un genitore – spesso la madre – assumeva il ruolo principale, mentre l’altro veniva relegato al “diritto di visita”. Con la nuova legge, è stato introdotto il concetto di bigenitorialità, ovvero il diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Tuttavia, l’esperienza pratica nei tribunali italiani ha dimostrato che la “frequentazione paritetica” è più un ideale che una regola applicata con coerenza.
Nonostante la Corte di Cassazione abbia ribadito più volte l’importanza del principio di parità, i tribunali spesso adottano interpretazioni che limitano l’effettiva applicazione di questo principio. Le espressioni come “tendenziale parità” o la valutazione della “qualità del rapporto” introducono ambiguità, giustificando la decisione di assegnare un ruolo preponderante a uno dei genitori. Questa discrezionalità mina alla radice l’obiettivo della riforma, rendendo difficile per molti genitori – soprattutto i padri – ottenere una presenza significativa nella vita dei figli dopo la separazione.
Le sentenze che mantengono lo status quo
Le sentenze della Corte di Cassazione, come la n. 18817 del 2015, dimostrano le contraddizioni della giurisprudenza italiana. Invece di promuovere una condivisione effettiva delle responsabilità genitoriali, queste decisioni continuano a distinguere tra genitore “collocatario” e “non collocatario”, attribuendo a quest’ultimo un mero diritto di visita. Questo approccio non solo limita il coinvolgimento del genitore non convivente, ma perpetua un modello che privilegia la stabilità della situazione preesistente, anche quando non è in linea con l’interesse del minore.
L’uso del termine “interesse del minore” come giustificazione per limitare la presenza di un genitore solleva ulteriori problematiche. Sebbene il concetto sia essenziale nel diritto di famiglia, esso viene spesso interpretato in modo soggettivo e variabile, consentendo ai giudici un ampio margine di discrezionalità. Di conseguenza, si finisce per proteggere più lo status quo che i diritti effettivi dei minori a mantenere relazioni significative con entrambi i genitori.
Le implicazioni per le famiglie separate
Questa situazione crea una notevole incertezza per le famiglie separate, che si trovano a navigare in un sistema legale imprevedibile e incoerente. I padri, in particolare, affrontano grandi difficoltà nel vedersi riconosciuti tempi di frequentazione equamente distribuiti con i figli. Il modello di affido attualmente prevalente non solo non risponde alle esigenze dei genitori, ma va anche contro il diritto dei figli a godere di una vera bigenitorialità.
Anche la questione economica del mantenimento dei figli è affrontata in modo incoerente. Sebbene la legge preveda che entrambi i genitori contribuiscano al mantenimento, il genitore collocatario finisce spesso per sostenere la maggior parte delle spese, mentre l’altro versa un assegno di mantenimento. Questo perpetua uno squilibrio nelle responsabilità genitoriali e finanziarie, impedendo la realizzazione di una vera parità.
Una necessità di cambiamento per l’affido condiviso
È chiaro che il sistema legale attuale necessita di una revisione per risolvere le contraddizioni e le ambiguità presenti nella giurisprudenza. L’interpretazione della legge sull’affido condiviso deve essere più coerente e uniforme per garantire che i diritti dei figli e di entrambi i genitori siano effettivamente rispettati. Solo attraverso un’applicazione chiara e costante delle norme sull’affidamento condiviso sarà possibile costruire relazioni parentali paritarie e costruttive, ponendo davvero al centro l’interesse del minore.
L’affidamento condiviso non può essere solo un principio astratto; deve diventare una realtà concreta per tutte le famiglie italiane, senza che i tribunali ostacolino la sua effettiva applicazione.